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Deborah Mega

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L’albatro

21 sabato Mag 2016

Posted by Deborah Mega in APPUNTI LETTERARI

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Charles Baudelaire, Deborah Mega, Edgar Allan Poe, Samuel Taylor Coleridge

LIMINA MUNDI

Albatros sul Mediterraneo di Salvatore Fratantonio

Albatros sul Mediterraneo di Salvatore Fratantonio

L’Albatros

Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.

À peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!

Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

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Essere matita é segreta ambizione

06 venerdì Mag 2016

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Deborah Mega, Paulo Coelho, Valerio Magrelli

LIMINA MUNDI

scena5

disegno di Maria Cristina Costa

Essere matita è segreta ambizione.

Bruciare sulla carta lentamente

e nella carta restare

in altra nuova forma suscitato.

Diventare così da carne segno,

da strumento ossatura

esile del pensiero.

Ma questa dolce

eclissi della materia

non sempre è concessa.

C’è chi tramonta solo col suo corpo:

allora più doloroso ne è il distacco.

[Valerio Magrelli, da Ora serrata retinae, 1980]

Sarebbe bello potersi trasformare in una forma desiderata, chi sceglierebbe però un oggetto inanimato, comune e di scarso valore come una matita? Per di più essa si consuma anche se non completamente. Di lei però resta il segno, ossatura del pensiero. Chi invece non riesce a lasciar traccia del suo spirito è destinato a un distacco ancor più doloroso. La scrittura è ossatura del pensiero come lo scheletro lo è del corpo. Bruciare, restare, diventare scrive il poeta; il suo desiderio é l’immedesimazione nello strumento…

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A proposito di lavoro

02 lunedì Mag 2016

Posted by Deborah Mega in POESIE

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Deborah Mega, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Khalil Gibran

LIMINA MUNDI

primo_maggio_2

Il quarto stato, Giuseppe Pellizza da Volpedo, (1901)

Allora un contadino disse:
Parlaci del Lavoro.

E lui rispose dicendo:
Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l’anima della terra.
Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita,
che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l’infinito.

Quando lavorate siete un flauto
attraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica.
Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e muta
quando tutte le altre cantano all’unisono?

Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra,
che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
Vivendo delle vostre fatiche,
voi amate in verità la vita.
E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più…

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Con la Puglia nel cuore

30 sabato Apr 2016

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Deborah Mega, L'ora di tutti, Maria Corti

LIMINA MUNDI

cort01

Per una traccia di sentiero, segnata da innumerevoli piedi nudi fra le erbe e le canne della valle dell’Idro, le donne scendono all’alba a Otranto con ceste piene di cicoria e di caciotte; hanno grandi occhi neri, capelli lucidi, aggrovigliati, andatura fiera. Mentre le piante dei piedi si espandono, illese, sul sentiero, esse guardano con la pupilla fissa in direzione del mare, uno sguardo asciutto, ereditato da generazioni di otrantini vissuti in attesa dello scirocco e della tramontana, per regolare su di essi pensieri e faccende. Arrivate alle mura della città, depositano cicoria e caciotte ai piedi della torre di Alfonso d’Aragona, e d’un tratto si mettono a urlare; come invasate da un improvviso oracolo, si scuotono dentro le nere vesti e gridano in faccia al passante : “Cicorie fresche, cicorie rizze !”A questo punto, se ‘è un forestiero presente, rimane inchiodato sul lastrico, all’ombra della torre, guardando gli occhi…

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La casa di Asterione

15 venerdì Apr 2016

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Arianna, Asterione, Deborah Mega, George Frederic Watts, Jorge Luis Borges, labirinto, Minotauro, Mitologia, Teseo

LIMINA MUNDI

Trent’anni fa si spegneva a Ginevra lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, uno degli scrittori più amati e apprezzati del XX secolo. Sperimentò e coltivò con passione diversi generi: poesia, saggistica, narrativa, fino a giungere all’elaborazione di una sua personale estetica. Nel 1984, infatti, in un’intervista comparsa sul quotidiano Il Tempo, al poeta italiano Luciano Luisi, che gli chiedeva se ci fosse differenza tra la poesia e la prosa, Borges rispose: “La differenza è nel lettore più che nel testo. Chi legge una poesia si aspetta emozioni, chi legge prosa si aspetta argomenti e informazioni, ma essenzialmente sono uguali. Io ho provato tutte le forme di espressione, ma non c’è differenza. Una differenza tipografica forse, ma nient’altro.” Per Borges l’essenziale è la passione e l’emozione; il punto di partenza di qualsiasi scrittura dunque dev’essere uno stato emotivo, non formale. Dopo gli anni di formazione dal 1914 al 1918, trascorsi in…

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La sorella di Shakespeare

13 mercoledì Apr 2016

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Deborah Mega, Virginia Woolf, William Shakespeare

LIMINA MUNDI

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Nel 1929 la scrittrice britannica Virginia Woolf pubblica un saggio narrativo dal titolo Una stanza tutta per sé. La scrittrice osserva che per secoli alle donne è stato negato l’accesso alla cultura ed è stato loro imposto un ruolo esclusivamente domestico. Secondo la Woolf, per dedicarsi alla letteratura occorrono alcune condizioni indispensabili: la disponibilità di denaro e una stanza per sé in cui poter scrivere. Il centro della narrativa “al femminile” è la casa, il luogo appartato in cui isolarsi per riflettere e scrivere, la “stanza tutta per sé” per l’appunto che la Woolf suggeriva alle studentesse del Newnham e del Girton College di Cambridge.

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La sfida del fondamentalismo

06 mercoledì Apr 2016

Posted by Deborah Mega in CRONACHE DELLA VITA

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Deborah Mega, fondamentalismo, Giacomo Leopardi, John Lennon, primavera araba, terrorismo islamico

LIMINA MUNDI

Imagine there’s no countries

it isn’t hard to do

nothing to kill or die for

and no religion too

imagine all the people

living life in peace

JOHN LENNON

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Il “folle volo” di Ulisse

06 mercoledì Apr 2016

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Dante Alighieri, Deborah Mega, Divina Commedia, Ulisse

LIMINA MUNDI

(Ulisse di Sergio Fasolini, Tempera all'uovo su tavola) Ulisse, Sergio Fasolini, Tempera all’uovo su tavola

                    Né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

                                                  vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

                                                    ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

                          (Inf.,XXVI, 94-102)

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UNA STORIA DI CAPPA E SPADA

02 giovedì Ott 2014

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Alexandre Dumas, Deborah Mega, Il Conte di Montecristo, Tom Reiss

Dumas padre da giovane

Nel 1865 Alexandre Dumas passeggiava nel foyer del Théâtre Français quando da un gruppetto di spettatori gli giunsero queste parole: «Sapete. Dicono che abbia parecchio sangue nero». L’autore de I tre moschettieri si voltò e replicò: «Ma certo signori. Ho sangue di nero: mio padre era un mulatto, mio nonno un negro e il mio bisnonno una scimmia! Vedete bene che le nostre due famiglie hanno la stessa filiazione, ma in senso inverso». Suo padre Thomas-Alexandre Dumas era nato nel 1762 nella colonia francese di Saint Domingue, l’attuale Haiti, figlio del nobile Alexandre Antoine Davy de La Pailleterie, generale d’artiglieria e di una schiava di colore, Marie Césette che tutti chiamavano “la femme du mas” cioè la donna della masseria. Nell’isola la popolazione originaria era stata gradualmente sterminata e vi erano stati deportati schiavi africani per un’economia di piantagione, vi erano coltivati infatti canne da zucchero,  cotone e tabacco. Alla morte della donna, Davy vendette i suoi figli per pagarsi la traversata e tornò in Francia, qualche tempo dopo tornò nell’isola, riscattò il primogenito ormai adolescente e lo condusse con sé. Il ragazzo, dopo aver ricevuto l’educazione tipica di un gentiluomo dei suoi tempi, divenne un abile spadaccino e, in seguito a contrasti con il padre, rinunciò ai titoli nobiliari e al suo cognome, acquisendo quello della madre. A ventiquattro anni si arruolò nell’esercito francese, ben presto per i meriti militari divenne colonnello, poi generale a 31 anni, il primo generale francese di origini afro-caraibiche. Le cronache militari del tempo lo descrivono come un generale apprezzato e stimato e pare che di questa popolarità Napoleone non fosse contento. Sposò la figlia di un albergatore, Marie Labouret, partecipò alle campagne in Vandea, d’Italia e di Egitto, dimostrando eccezionale valore e straordinaria forza fisica. Durante quest’ultima campagna il generale Dumas, definito “diavolo nero” dagli austriaci, disse pubblicamente a Napoleone che l’invasione dell’Egitto gli appariva ingiustificata e che avrebbe continuato a combattere con lui solo se avesse fatto gli interessi della Francia e non i propri. Napoleone, infuriato, lo accusò di essere un disertore, così il generale fu congedato e non potè più prestare servizio nell’esercito francese. Il vascello La belle maltaise che lo riportava in patria fu costretto a fermarsi a Taranto per gravi avarie e l’equipaggio fu catturato dai sanfedisti di Fabrizio Ruffo e consegnato ai Borboni. Il generale Dumas, dopo un periodo di quarantena nel lazzaretto, fu rinchiuso per due anni in una cella del Castello Aragonese di Taranto con il geologo Dolomieu (a lui si deve il nome delle Dolomiti, delle cui rocce studiò la composizione chimica). La Francia non provò neanche a negoziare il suo rilascio. Quando venne liberato, dopo la battaglia di Marengo, il generale era un uomo distrutto dalle privazioni e dai tentativi di avvelenamento con arsenico, era semiparalizzato e cieco da un occhio. In Francia intanto nel 1802 un decreto napoleonico introduceva nuovamente le leggi razziali mentre a Saint-Domingue gli schiavi insorgevano e lottavano per l’indipendenza dalla madrepatria. Al ritorno in patria al generale Dumas non venne neppure assegnata una pensione e nel 1806, a soli 43 anni sarebbe morto di cancro quando suo figlio, il piccolo Alexandre, futuro autore de “Il Conte di Montecristo” aveva poco più di tre anni. Così la vedova Labouret ricordò l’ex generale in una lettera del 1814: «era un soldato che il fato delle battaglie ha risparmiato ma che è morto nella miseria e nel dolore, senza decorazioni né compensazioni militari, vittima dell’implacabile odio di Napoleone e della sua propria bontà d’animo». Al generale Dumas infatti fu dedicata solo una statua a Malesherbes (ora conosciuta come la Place du Général-Catroux), eretta a Parigi nel 1913 ma distrutta negli anni quaranta del ‘900 dall’esercito nazista. In Mes Mémoires, il romanziere francese avrebbe ricostruito la biografia di suo padre attraverso i ricordi personali, quelli della madre e le testimonianze degli amici. Ne sarebbe uscito un personaggio le cui imprese mirabolanti avrebbero caratterizzato le successive vicende letterarie de I tre Moschettieri e de Il Conte di Montecristo. Il protagonista di uno dei più famosi romanzi d’appendice dell’Ottocento, Il Conte di Montecristo dunque fu ispirato allo scrittore dalla figura del padre, unico generale nero dell’esercito del Bonaparte. La prigionia di Edmond Dantes nel castello d’If riprende proprio l’esperienza del generale Dumas nel castello di Taranto mentre la figura dell’abate Farìa ricorderebbe quella di Dolomieu, allo stesso modo la sua leggendaria abilità nella scherma trova riferimento nella storia de I tre Moschettieri. Anche Montecristo non era solo l’isoletta dell’arcipelago toscano ma anche un villaggio situato sulla costa di Saint-Domingue. Dopo innumerevoli versioni cinematografiche dedicate alla storia de “Il Conte di Montecristo”, nel 2010 è uscito in Francia L’autre Dumas, un film di Safy Nebbou interpretato da Gérard Depardieu. Per il fatto che il protagonista che interpretava il generale Dumas fosse bianco e biondo scoppiò una polemica sul fatto che si occultasse l’origine nera del generale, ne scaturirono dibattiti sulla diversità e sulla promozione delle minoranze etniche in Francia, data la forte componente nera e maghrebina. La vicenda del generale Dumas ha spinto il giornalista scrittore Tom Reiss a realizzare un’opera di quattrocento pagine edita dalla Crown Publishers Group, dopo aver ricercato fonti nel corso di un decennio e raccolto testimonianze tra Francia, Caraibi, Taranto e Medio Oriente. Temi come la vendetta e il ricordo che sopravvivono al tempo e alle avversità, si intrecciano in tutta la biografia firmata da Tom Reiss. Fin dalla sua pubblicazione, il 18 Settembre 2012, il Conte Nero (The Black Count) di Reiss ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, il più importante il Premio Pulitzer per la biografia nel 2013, proprio per la biografia avvincente quanto un romanzo del generale Thomas Alexandre Dumas, una storia di cappa e spada talmente vera da superare la fantasia del suo autore.

The_Black_Count_book_cover

BOVARISMO: desiderio di evasione

16 sabato Ago 2014

Posted by Deborah Mega in NOTE CRITICHE

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Tag

Deborah Mega, Gustave Flaubert, letteratura, Madame Bovary

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Nel 1848 lo scrittore francese Gustave Flaubert si trovava ad affrontare un momento critico per qualsiasi scrittore, la mancanza di ispirazione. I suoi più cari amici, Louis Bouilhet e Maxime du Camp, gli suggerirono di trattare un argomento che gli permettesse di evitare, a loro avviso, i punti deboli della sua scrittura: l’eccessivo lirismo e la stravaganza dell’immaginazione. Pensò così di trattare un fatto di cronaca, quello di una piccola borghese di provincia, Delphine Couturier Delamare, seconda moglie di un ufficiale sanitario di Rouen, suicidatasi col veleno il 6 marzo del 1848, perché travolta dai debiti. Gli stessi temi Flaubert li aveva trattati anche in Passion et vertu, scritto quando aveva sedici anni, in Mémoires d’un fou e Novembre: in tutti emergevano la stessa incapacità di accettare la vita, la noia, i sogni di evasione, quell’atteggiamento che, dalla protagonista del suo romanzo, Madame Bovary, avrebbe preso il nome di bovarismo. Il termine, coniato da Barbey D’Aurevilly in una recensione, avrebbe rappresentato il titolo di un testo di psicologia del 1892 di Jules de Gaultier, che definì il bovarismo la “facoltà che ha l’uomo di concepirsi altro da com’è”. Madame Bovary incarna il malessere e l’apatia del nostro tempo, l’inquietudine esistenziale, l’insoddisfazione spirituale, la contraddizione lacerante tra ciò che si possiede e ciò che si desidera, la tendenza tipicamente umana di idealizzare una persona, un sentimento, un aspetto della propria esistenza e di conseguenza la scoperta che tutto ciò che si vorrebbe è circostanza impossibile da realizzare. Eppure nessuno condanna la donna, nemmeno l’autore, il quale critica la lettura dei romanzi tardo-romantici che hanno influenzato negativamente le fantasie e i sogni di Emma, probabilmente il personaggio letterario più riuscito; il suo carattere, i suoi stati d’animo affiorano da diversi elementi, dal monologo interiore che ricorda Joyce, dai gesti, dal portamento, dal paesaggio circostante. L’autore si immedesima talmente tanto nel suo personaggio da farlo vivere, secondo qualcuno avrebbe addirittura dichiarato “Madame Bovary, c’est moi”, affermazione sconvolgente per un autore del suo tempo. Anche la citazione che segue, “Ma una donna ha continui impedimenti. A un tempo inerte e cedevole, ha contro di sé le debolezze della carne e la sottomissione alle leggi. La sua volontà, come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c’è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene.” È uno dei tanti passi che dimostrano la comprensione di Flaubert dei problemi che assillavano le donne del suo tempo e non solo. Dopo aver sposato Charles Bovary, l’unico potere che Emma può esercitare sul proprio destino è la scelta dell’adulterio, l’unica moneta che possiede per ottenere un qualche vantaggio è il suo corpo. Perfino quando vuole entrare nel magazzino di Monsier Homais, il farmacista di Rouen, per procurarsi l’arsenico con cui si toglierà la vita, deve far ricorso al fascino che esercita su Justin. Riguardo al tema del denaro, Flaubert disponeva di un prezioso documento, i Mémoires de Madame Ludovica, in cui si raccontano le spese eccessive con conseguente sequestro dei beni della moglie dello scultore Pradier. La redazione del romanzo fu lenta e faticosa: Flaubert scriveva dalle dieci alle dodici ore al giorno, di notte fino all’alba, incarnando il suo ideale di vita a servizio della letteratura e diventando ogni giorno di più, un “homme-plume“, un uomo penna. Madame Bovary uscì in sei puntate, tra l’ottobre e il dicembre del 1856, sulla “Revue de Paris“; molti dettagli realistici colpevoli di irritare la morale del tempo furono censurati, una buona sezione della terza parte, l’episodio della seduzione in carrozza per le strade di Rouen e la scena finale della estrema unzione di Emma furono completamente eliminate. Lo scrittore protestò vivacemente sulla stessa rivista e invitò i lettori a vedere negli ultimi capitoli “solo dei frammenti e non un insieme”. Il clamore suscitato dalla denuncia fu all’origine del grande successo di vendita quando l’opera uscì in volume. Tutti pensarono che il romanzo criticasse e trasgredisse la morale borghese, pochi invece colsero la rivoluzione formale operata sul genere.Pubblico e critica ne apprezzarono il realismo e l’osservazione clinica, Maupassant definì l’opera il primo grande esempio di romanzo post-balzachiano per l’analisi psicologica condotta e l’inserimento in un contesto socio-ambientale reso evidente dall’uso del sottotitolo, Costumi di provincia. L’obiettivo della impersonalità, secondo il quale l’autore doveva essere onnisciente come Dio, presente ovunque ma mai visibile, è perseguito con il massiccio uso della focalizzazione multipla, adottando cioè il punto di vista dei personaggi, e del discorso indiretto libero. La monotonia dell’esistenza e la malinconia di Emma sono espressi attraverso i suoi pensieri e nella descrizione di distese piatte, su cui lo sguardo vaga nell’attesa vana di qualcuno o qualcosa che non arriva, o di pranzi quotidiani deprimenti più che confortanti, nell’odore di bollito Emma sente “tutta l’amarezza dell’esistenza” o in alcune belle metafore che ricordano certi Spleen baudelariani. Emma Bovary era destinata a vivere nell’immaginario collettivo, Flaubert crea un ritratto di donna irresistibile e ne esplora tutta la bellezza e la sensualità, descrivendo la linea del collo, l’avorio delle unghie, lo sbattere delle ciglia, i movimenti delle labbra, le sfumature della capigliatura corvina, il colore cangiante degli occhi, i movimenti flessuosi; allo stesso modo alla fine evocherà le sofferenze dell’agonia e la decomposizione del cadavere. Come Don Chisciotte, personaggio amatissimo da Flaubert, Emma si interroga sullo scarto che separa la realtà dalla sua idea e non lo accetta, rifiuta la rassegnazione e la rinuncia, procede di frustrazione in frustrazione, di idealizzazione in idealizzazione fino al tragico epilogo del suicidio, unica via d’uscita. Baudelaire definì il personaggio un “bizzarro androgino”: l’ambizione, la spinta all’azione, il gusto per la seduzione, erano identificati infatti come qualità virili. Depressa e sofferente agli occhi del marito, frivola e leggera a quelli delle altre donne della cittadina, pericolosa e invischiante agli occhi degli amanti, è rigettata verso se stessa. Ne deriva un’immagine di solitudine e isolamento, Emma è imprigionata nello spazio geografico e sociale, nella propria casa, perfino nel proprio io. Qualsiasi tentativo di evasione é condannato alla sconfitta, perfino la maternità viene vissuta male e non come un dono meraviglioso. Emma avrebbe voluto un figlio maschio per riscattarsi e affermarsi, quando invece nasce una femmina, un’altra come lei, il dolore è grande e la bambina viene usata solo per riempire i vuoti della madre. In seguito all’espansione del mercato letterario e al conseguente aumento del numero di lettori, il bovarismo ebbe ampia diffusione e anche il numero di suicidi aumentò; negli stessi anni si parlò di “effetto Werther” in riferimento alla lettura de I dolori del giovane Werther di Goethe. Si cercò di frenare la lettura di romanzi fantastici e sentimentali che riempivano la mente di amori immaginari e di utopie. La lettura non produce lo stesso effetto su tutti; secondo A. Thibaudet, esiste il lecteur de romans ( che prende la lettura per una distrazione momentanea) e il liseur de romans (che confonde la letteratura con la realtà). La predisposizione individuale conta molto: la personalità isterico-narcisistica ad esempio è quella più congeniale all’identificazione con un modello romanzesco o cinematografico.

Il fenomeno resta attuale e preoccupante, ieri era causato e acuito dalla lettura di romanzi, oggi dalla noia e dal senso di insoddisfazione che stimola in alcuni casi la tendenza compulsiva all’acquisto di vestiti, gioielli, oggetti, a volte superflui, proprio come amava fare Emma Bovary. La conclusione non cambia: si resta sospesi tra ambiziosi sogni di gloria e vita mediocre, tra una splendida fantasia e una realtà che inevitabilmente si percepisce triste e opaca.

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